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venerdì 5 dicembre 2008

La crisi finanziaria

La crisi finanziaria, iniziata nell'estate 2007 negi USA e poi diffusasi per contagio nel resto del mondo, è una crisi di tutto il sistema economico-finanziario. Nè di crisi congiunturale, nè di crisi regionale dunque si tratta. Essa è il punto di arrivo, inevitabile, di un processo che da oltre trent'anni ha modificato alla radice il modo di essere e di funzionare della finanza, minando così le basi stesse su cui si fonda la civiltà occidentale. Le cause della crisi hanno una duplice natura: quelle prossime, che riguardano le caratteristiche specifiche assunte in tempi recenti dai mercati fnanziari, e quelle remote, che chiamano in causa alcuni aspetti culturali che hanno accompagnato il passaggio dal capitalismo industriale a quello finanziario. Da quando si è imposta la globalizzazione, la finanza non solo ha accresciuto la sua quota di attività in ambito economico, ma ha progressivamente contribuito a modificare sia il modo di pensare delle persone sia il loro sistema di valori. E' a quest'ultimo aspetto che si fa riferimento quando oggi si parla di finanziariazzazione (financialization) della società. "Finanza", letteralmente, è tutto ciò che ha un fine; se questo fuoriesce dal suo alveo storico, la finanza non può che generare effetti perversi.

In quel che segue mi soffermerò, sia pure in breve per ragioni di spazio, sulla principale delle cause remote della crisi. Non mi occuperò, invece, nè degli effetti del collasso attuale, nè delle vie di uscita da esso. E' infatti importante far emergere dai fatti scaturiti dal disastro finanziario que'ideologia fallace, oggi dominante, nota come "mainstream"ecnomico. Si tratta dell'ideologia che, a partire dal'assunto antropologico dell'"homo oeconomicus" ovvero dell'egoismo razionale - che è un assunto, si badi, cioè una tesi non dimostrata - giunge, dopo un lungo itinerario, cosparsi di teoremi raffinati e di indagini econometriche, alla conclusione che i mercati, anche quelli finanziari, sono in grado di autoregolarsi, cioè sia si darsi delle regole sia di farle rispettare. Il ponte che collega quell'assunto a tale conclusione è il principio dell'efficienza, che regola la società post-moderna. Da qui il "mito della performance" per il quale una cosa diventa "vera" per il solo fatto che la facciamo. E' questo stato d'animo generale che ha fornito il carburante per la macchina speculativa. La quale si è potuta avvalere di strumenti e prodotti finanziari con una "potenza di fuoco" mai vista in precedenza, mezzi capaci di amlificare in modo abnorme la tendenza al rialzo e al ribasso del mercato borsistico. Ma è evidente che una bolla speculativa dalle proporzioni di quella di oggi mai si sarebbe potuta realizzare senza quella "bolla mentale" che ha fato credere a tantissimi che fosse possibile ridurre il rischio a zero, qualora si fosse riusciti a spalmarlo tra un numero elevato di operatori.

Ma il rischio può essere spostato o ridotto, mai annullato. Tale senso di onnipotenza si è impadronito dei comportamenti mentali non solamente degli operatori e degli istituti della finanza, ma anche delle autorità politiche, dei centri mediatici, di non pochi ambienti universitari e di ricerca. L'autoreferenzialità della finanza - la finanza che diviene fine a se stessa - ha così fatto dimenticare la massima di Platone secondo cui "L'unica buona moneta con cui bisogna cambiare tutte le altre è la "phronesis", l'intelligenza che sta in guardia". Una massima che l'illustre economista americano J. Galbraith, assai più prosaicamente, ha reso così: "E' bene che ogni tanto i soldi vengano separati dagli imbecilli". Ed è bene che così avvenga, perchè molti sono gli innocenti che pagano per la "hybris" (presunzione, sentita nell'antica Grecia come oltraggio agli uomini e agli dei) degli imbecilli. E ciò scandaloso in società che si dicono civili.

di: Stefano Zamagni
da: "Il Messaggero di S.A.", dicembre 2008, che ringrazio della spontanea collaborazione.

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