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giovedì 4 dicembre 2008

Convivere secondo il religioso

"Caro Direttore, sono la madre di una giovane di 30 anni, fidanzata da sei con un coetaneo. Mia figlia sta vivendo una situazione difficile perchè il fidanzato avrebbe preso una decisione: vorrebbe andare a convivere. Mia figlia è indecisa perchè è credente e il suo desiderio è sposarsi in Chiesa..." (Estratto).

Cara signora, il fidanzato di sua figlia una scelta, per quanto opinabile, l'ha compiuta. E' molto difficile dare un giudizio, analizzare le motivazioni sulla base di questa decisione, non conoscendo di persona i diretti interessati.

Vorrei pertanto limitarmi a una riflessione sul significato di un gesto come questo. Un significato che, a ben guardare, non si discosta molto da ciò che sta alla base del'lindecisione . Il matrimonio è una scelta che comporta l'assunzione di una base di responsabilità nei confronti dei coniugi e dei futuri figli, che si poggia su un progetto di vita ben preciso. Il matrimonio religioso, poi, implica una decisione "per sempre" anche in virtù della grazia sacramentale che sigilla la scelta umana.

Una convivenza cos'altro è se non una "prova": prova di sentimenti, di affinità caratteriali, prova di vita, insomma? Ma la vita, i sentimenti, le relazioni non si possono vivere "in prova": una macchina, un vestito, un oggetto si possono "provare", non una persona. I sentimenti, i rapporti o sono o non sono: non ci si può donare a un altro e riceverlo in dono finchè "va bene". Una persona non si può "prestare".

La scelta della convivenza, in definitiva, contiene in sè un'idea riduttiva di persona, di reciprocità, di vita a due.

da: lettere al Direttore, "Messaggero di Sant'Antonio", dicembre 2008.

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