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lunedì 2 marzo 2009

Vantaggi e costi del federalismo

                       Non si può chiedere al Ministro dell'economia di indicare i costi del federalismo fiscale. Il disegno di legge approvato dal Senato, infatti, si fonda su due principali coordinate: la prima è quella del passaggio dalla spesa storica alla spesa standard, la seconda è quella dell' introduzione di un'autonomia impositiva responsabile a livello di Regioni ed Enti locali. La prima opera sul lato della spesa: si passerà dal finanziare i servizi in base a quanto si è speso in passato (senza considerare gli sprechi, le inefficienze, le pletore di personale, le cattive prassi amministrative e finanche l' illegalità di certi comportamenti), ad un finanziamento del solo costo standard (che coprirà la spesa per i servizi - sanità, assistenza, istruzione, trasporto - ma non coprirà più lo spreco, l'inefficienza, ecc.). La seconda coordinata sarà parametrata sulla prima, cioè sarà definita un'autonomia impositiva sufficiente a coprire quanto necessario a coprire i costi standard.

In queste due coordinate sta il cuore della riforma, destinata a superare finanziamenti a piè di lista, tipo quello attuato nell'ultimo anno del governo Prodi con dodici miliardi di euro a favore di cinque regioni del sud in extradeficit sanitario. Chiunque può andare a leggere le relazioni della Corte dei Conti sulla situazione di quelle cinque regioni, per trovarvi denuncie impressionanti per sprechi pubblici, di macchine della Tac comprate senza collaudo, di rimborsi indebiti, di "un'amplissima zona grigia di slealtà e di disinteresse per la cosa pubblica o di malcelato tornaconto personale, dannosi ale casse dello Stato ed al prestigio delle istituzioni". Non sorprende, in questo contesto, che la spesa sanitaria in Italia sia raddoppiata negli ultimi dieci anni, passando dai 55,1 miliardi del 1998 ai 101,4 miliardi del 2008.

Non è solo per i progressi della medicina o per l'allungamento della vita media. La riforma approvata dal Senato detta ora i criteri per uscire dal tunnel di questa situazione, appunto individuando, per circa il 90% delle funzioni regionali e locali, il criterio del finanziamento al costo standard, cioè in base a quanto effettivamente serve per fornire in una condizione di media efficienza un determinato servizio. Si tratta però di un dato che non può essere prodotto ora, perchè la riforma prevede che sia definito di concerto da Regioni e Enti locali nella fase dei Decreti legislativi. Qui gli enti efficienti saranno interessati a fissare in basso l'asticella dei costi standard, quelli inefficienti faranno resistenza, il Governo farà da arbitro fra i controinteressati.

Sarà una partita delicata è non si può sapere ora quale sarà l'esito. Non si può dunque chiedere - anzi è logicamente sbagliato farlo - al Ministro dell' Economia di dire adesso l'impatto finanziario di una riforma che dipende da una variabile di tale portata. Nè è il caso che il Parlamento, invece che sui principi, si metta a discutere su quale deve essere il costo standard di una degenza ospedaliera. Ed è giusto che sia così, perchè se la definizione del costo standard fosse solo calata dall'alto, con tutta probabilità non sarebbe accettata da Regioni ed Enti locali e sarebbe destinata, in fase di applicazione, a incappare in quei blocchi che - come in passato - hanno riportato poi in vita l'infernale criterio della spesa storica.

Quello che è certo, però, è che il finanziamento in base al costo standard porta per definizione a un risparmio e a una razionalizzazione della spesa pubblica, perchè introduce un solido criterio di efficienza e di responsabilità. Questa responsabilità sul lato delle spesa è poi rinforzata sul lato dell'entrata perchè gli amministratori regionali o locali che spenderanno più del costo standard dovrano richiedere le rsorse aggiuntive ai loro elettori, senza più minimamente poter contare sui ripiani a piè di lista da parte dello Stato. 

Con grande correttezza, Gilberto Muraro, presidente della commissione tecnica per la spesa pubblica sotto il Governo Prodi, ha recentemente precisato: "I numeri non potranno che emrgere dai successivi decreti legislativi". Quello che sappiamo con certezza oggi è che il vero costo in Italia è quello che deriva dalla mancanza di federalismo fiscale, che ha creato la peggiore delle situazioni possibili, dove per effetto del decentramento degli ultimi anni è aumentato il potere di spesa degli amministratori regionali e locali, ma chi spende male è premiato e chi è efficiente è punito, chi manda in dissesto il bilancio di un Comune continua imperterrito la sua carriera politica, ecc. ecc. A tutto questo la riforma, con una valorizzazione del principio di responsabilità che a memoria non è dato riscontrare in altra legge italiana, è destinata a scrivere la parola "fine". Il fatto che sia stata condivisa dall'opposizione e che le Regioni e Enti locali l'abbiano approvata all'unanimità, ha un grande valore anche economico, perchè è garanzia di un patto di razionalizzazione della spesa pubblica che sarà difficile non rispettare.

di: Luca Antonini
da: Il Gazzettino, domenica 25 gennaio 2009, che ringrazio per la cortese disponibilità

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