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martedì 23 settembre 2008

Addio ai caffè letterari.

"Se fossi il sovrano di questo paese, chiuderei i caffè perchè chi frequenta quei locali si scalda piacevolmente il cervello", diceva Montasquieu. Un secolo dopo il grande filosofo, l'Ottocento vedeva nei caffè il "salotto della democrazia", mentre il Novecento li ha trasformati nel ricettacolo dell'arte di avanguardia. Il ventunesimo secolo, invece, vede sforire i caffèparigini, sommersi dalla piena dei fast-food, disertati dai giovani, messi in ginocchio dall'esplosione dei prezzi immobiliari.

Perfino uno dei saloni del tè più chic, Ladurée, ha deciso di aprire un locale di ristorazione rapida per stare al passo coi tempi. In sei anni, tra il 2000 e il 2006, la regione parigina ha visto crescere i fast-food del 30% e i caffè tradizionali diminuire del 17%. In Francia, le cose non vanno meglio: dieci anni fa, quasi nove francesi su dieci dicevano di frequentare un bar o un ristorante., adesso sono soltanto il 41%. Un declino che riempie di sgomento i più legati a una tradizione gloriosa, che nella capitale si fa risalire al siciliano francese Procopio dè Coltelli, creatore di quel caffè Procopé, in cui si ammassano ancora oggi i turisti provenienti da mezzo mondo. Senza saperlo, il buon Procopio ha contribuito a caratterizzare lìEuropa, come ha ricordato qualche anno fa George Steiner: "Disegnate la carte dei caffè e avrete uno degli elementi chiave essenziali della nozione d'Europa".

Nel cuore del Vecchio Continente, il caffè è il luogo dove si riuniscono tutte le socialità: "E' aperto a tutti - scrive ancora Steiner - eppure è anche un club, una massoneria di un riconoscimento politico o artistico o letterario, di presenza programmatica. Una tazza di caffè, un bicchiere di vino, un tè al rum danno accesso a un locale in cui lavorare, sognare, giocare a scacchi o semplicemente passare una giornata al caldo. E' il club dello spirito e il £fermo posta" dei senzatetto". Luogo della speculazione intellettuale e delle barzellette di bass alega, seriowso e borghese oppure popolare e sguaiato, il caffè resta uno dei posti dove, almeno in Francia, le classi sociali ancora si mescolano, come se i riti del "petit noir" mattutino e dell'aperitivo cancellassero sofferenze e diffidenze di una società più classista di quel che vuol sembrare.

Da sempre, nel cuore dell'Europa, si va al caffè per qualsiasi motivo: per aprirsi lo stomaco, mangiare, digerire, farsi un cicchetto, leggere sui giornali quello che è successo sul pianeta e spettegolare sulla porta accanto. Un regno su cui a Parigi regnano curiosamente solo le famiglie del Massiccio Centrale, proprietarie delle stamberghe prima che dei caffè da più di un secolo e che oggi subiscono la concorrenza dei cinesi, che si comprano i caffè-tabacchi. Tutti però devono fare i conti con i fast-food. Meno cari, meno agghindati, almeno in apparenza più alla moda per i giovani, stanno rapidamente soppiantando i caffè tradizionali.

Che si sono molto rinnovati, ma i cui prezzi sono troppo cari e non sempre giustificati. Gli intellettuali novecenteschi amavano ripetere che andavano al caffè per cercare un nutrimento non solo materiale, i loro successori sembrano sul punto di disertare e i giovani preferiscono chattare su Internet, un caffè virtuale senza l'odore di quelli veri.


Estratto

di: Giampiero Martinotti
da: "La Repubblica" di martedì 23 settembre 2008.

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